giovedì 8 marzo 2007
Qualche mattina fa, nella bruma mattutina, un po' intirizzito scorrevo accanto alle macchine incolonnate nel traffico.
Un repertorio di smart, scooteroni imbacuccati, Nissan Micra un po' abbozzate e un mare di cravatte, tailleur, auricolari e mascara messi all'ultimo secondo, tra una fermata e una ripartenza.
Il sole faceva capolino tra le nuvole e, in prossimità della curva della Salaria, faceva strani riflessi sulla mia visiera.
Fatto sta che mi sono finalmente svegliato, circa un'ora dopo il perentorio suono della sveglia, quasi di botto, di soprassalto. Giusto il tempo di dare una toccatina ai freni, una scalata, schivare il solito stronzo che cambia corsia senza mettere la freccia e continuare la mia folle corsa, sfiorando lo specchietto con il gomito e mandando un vaffa a mente.
Non tutti hanno la fortuna di svegliarsi prima di arrivare in ufficio.
Poco dopo, uscito dall'arena - pardon la Tangenziale, c'è una fermata dell'autobus, accanto a un'edicola dall'altra parte della strada. E un passaggio pedonale, di quelli con le scale.
E mi capita di vedere pischelli liceali, con lo zaino o la borsa in spalla, che in gruppetti da due o tre si avviano per entrare in ritardo a scuola. E capita spesso che mi arrivi qualche occhiata furtiva. Chissà cosa pensano di me, del mondo circostante, e degli "adulti" visti i gusti nel vestire, nel comportarsi.
Non è capitato di rado che qualcuna di loro si sia fermata con l'arancione, preoccupata che io (o qualche altro matto) scatti travolgendola all'accensione della luce verde. E non capita di rado che mi volti verso di lei abbassando la visiera, partendo con una leggera sfrizionata su una ruota.
Non lo faccio quasi mai, tranne che lì.
È un modo di salutare l'ultimo semaforo della mattina, e di alimentare il mito che forse da qualche parte lo Step che lei e tutte le sue coetanee sognano esiste...
Pochi metri dopo si trova il mio ufficio, il mio tornello, il mio telefono e il mio PC.
Un po' come i film americani mi sono trovato una bella mattina a dovermi alzare dal letto e andare a lavoro. Come tutti.
E una bella mattina dopo fare la stessa cosa.
E quella dopo ancora di nuovo.
Nessun trauma, nessuna voglia di tornare indietro. Dopotutto amo il mio tornello, il modo in cui mi saluta con quel suo suono metallico, quando avvicino il badge. Il modo in cui mi accarezza senza insistenza e, con uno scatto, mi ricorda che da oggi "sei dentro".
Signori, benvenuti al Fight Club.
Prima regola del Fight Club: non parlate mai del Fight Club.
Seconda regola del Fight Club: non dovete parlare mai del Fight Club.
Terza regola del Fight Club: se qualcuno grida basta, si accascia o è spompato, fine del combattimento.
Quarta regola: si combatte solo due per volta.
Quinta regola: un combattimento alla volta, ragazzi.
Sesta regola: niente camicia, niente scarpe.
Settima regola: i combattimenti durano per tutto il tempo necessario.
Ottava e ultima regola: se questa è la vostra prima sera al Fight Club... dovete combattere!
Un repertorio di smart, scooteroni imbacuccati, Nissan Micra un po' abbozzate e un mare di cravatte, tailleur, auricolari e mascara messi all'ultimo secondo, tra una fermata e una ripartenza.
Il sole faceva capolino tra le nuvole e, in prossimità della curva della Salaria, faceva strani riflessi sulla mia visiera.
Fatto sta che mi sono finalmente svegliato, circa un'ora dopo il perentorio suono della sveglia, quasi di botto, di soprassalto. Giusto il tempo di dare una toccatina ai freni, una scalata, schivare il solito stronzo che cambia corsia senza mettere la freccia e continuare la mia folle corsa, sfiorando lo specchietto con il gomito e mandando un vaffa a mente.
Non tutti hanno la fortuna di svegliarsi prima di arrivare in ufficio.
Poco dopo, uscito dall'arena - pardon la Tangenziale, c'è una fermata dell'autobus, accanto a un'edicola dall'altra parte della strada. E un passaggio pedonale, di quelli con le scale.
E mi capita di vedere pischelli liceali, con lo zaino o la borsa in spalla, che in gruppetti da due o tre si avviano per entrare in ritardo a scuola. E capita spesso che mi arrivi qualche occhiata furtiva. Chissà cosa pensano di me, del mondo circostante, e degli "adulti" visti i gusti nel vestire, nel comportarsi.
Non è capitato di rado che qualcuna di loro si sia fermata con l'arancione, preoccupata che io (o qualche altro matto) scatti travolgendola all'accensione della luce verde. E non capita di rado che mi volti verso di lei abbassando la visiera, partendo con una leggera sfrizionata su una ruota.
Non lo faccio quasi mai, tranne che lì.
È un modo di salutare l'ultimo semaforo della mattina, e di alimentare il mito che forse da qualche parte lo Step che lei e tutte le sue coetanee sognano esiste...
Pochi metri dopo si trova il mio ufficio, il mio tornello, il mio telefono e il mio PC.
Un po' come i film americani mi sono trovato una bella mattina a dovermi alzare dal letto e andare a lavoro. Come tutti.
E una bella mattina dopo fare la stessa cosa.
E quella dopo ancora di nuovo.
Nessun trauma, nessuna voglia di tornare indietro. Dopotutto amo il mio tornello, il modo in cui mi saluta con quel suo suono metallico, quando avvicino il badge. Il modo in cui mi accarezza senza insistenza e, con uno scatto, mi ricorda che da oggi "sei dentro".
Signori, benvenuti al Fight Club.
Prima regola del Fight Club: non parlate mai del Fight Club.
Seconda regola del Fight Club: non dovete parlare mai del Fight Club.
Terza regola del Fight Club: se qualcuno grida basta, si accascia o è spompato, fine del combattimento.
Quarta regola: si combatte solo due per volta.
Quinta regola: un combattimento alla volta, ragazzi.
Sesta regola: niente camicia, niente scarpe.
Settima regola: i combattimenti durano per tutto il tempo necessario.
Ottava e ultima regola: se questa è la vostra prima sera al Fight Club... dovete combattere!
Etichette: cartellino, routine, traffico