lunedì 24 dicembre 2007
Corre il Natale 2107,
un anno in cui i neo-beatles hanno celebrato l'ennesimo MP3 Di Platino, riarrangiando con chitarra elettrica a 16 corde e tecno-clavicembalo i pezzi contenuti nell'ormai ritenuto obsoleto Magical Mistery Tour.
Gli Stati Planetari Uniti hanno da poco sedato una rivolta armata sulla base lunare di Altai, o almeno così vogliono far credere all'opinione pubblica, mentre continua la penuria del prezioso Elio3, isotopo introvabile sulla terra ma ampiamente estratto dalla Luna e da Giove per far funzionare le centrali nucleari sparse su mezzo sistema solare (e sul Pianeta Terra).
Anche gli spaziotrasportatori, stanchi dell'eccessivo aumento dei costi e delle tasse, hanno interrotto per svariati giorni l'eliotrasporto sulla Terra, obbligando il governo a fermare gran parte dei mezzi privati e lo shopping natalizio.

Ma anche senza scioperi il razionamento energetico impone scelte ovvie. Gli alberi di natale, nonostante i ricchi addobbi con ologrammi e incredibili riflessi di luce, al buio saranno completamente spenti, mentre la neve non ha mancato l'appuntamento, imbiancando le strade e i pochi alberi rimasti. A terra non ci arrivava da circa vent'anni, quando i climatizzatori a microonde hanno cominciato a trasformare in vapore tutto quello che pioveva dal cielo a pochi metri dal suolo.
Lo sciopero ne ha imposto lo spegnimento nelle ore notturne e per molte mattine la polizia ha dovuto sfollare enormi gruppi di lavoranti che, nonostante l'abbigliamento inadatto, hanno preferito prendersi a pallate di neve (finendo arrestati) anziché occuparsi delle loro mansioni.

Il regalo più in voga quest'anno sembra essere il nuovo guardaroba olografico Sony-Nintendo che, tramite un tessuto elasticizzato, visualizza l'abito prescelto in tutti i luoghi convenzionati.
Il guardaroba è sterminato, sono anni che i principali stilisti hanno digitalizzato le loro collezioni, ma finalmente sarà possibile vestirsi come si vuole anche fuori dalla virtualizzazione, indossando quella che a prima vista è la candida uniforme da Cittadino necessaria per le strade.
Sperando che il Governo non vieti anche questa forma di libertà personale, inserendola tra quelle improduttive e quindi negative per lo sviluppo planetario.

Quest'anno, oltre al guardaroba olografico, in molti chiederanno a Babbo Natale un aiuto per avere finalmente una casa propria, visto che ormai i finanziamenti superano le due generazioni e alcuni ancora pagano case acquistate nel 2020.
Altri vorranno importare dalle basi extraterrestri un'autolevitatore nuovo, anche se ormai le elettrostrade sono le stesse, trafficatissime, del 2060 e il costo dell'Elio3 per farle circolare richiede ad ogni pieno un piccolo finanziamento da pagare in uno o due anni.

È un Natale un po' più tradizionale del solito: in molti si sono mossi soltanto il 23 per fare i regali; il freddo ha sorpreso molti Cittadini per le strade e il buio arriva improvviso già a metà pomeriggio per il razionamento delle luci.
È un Natale in cui i soldi per i regali sono un po' meno per l'inflazione, mentre il traffico non ha lasciato scampo, riducendo il tempo per fare la scelta giusta.
Molti parenti extraterrestri, dando fondo ai risparmi di un anno, verranno a trovare la famiglia d'origine, condividendo a pranzi e cene i piatti più tradizionali, cucinando gli ingredienti ormai prodotti solo sulle colonie agricole.

Ci si dirà che bisogna essere più buoni, mentre si riuscirà a stare con più di due-tre persone contemporaneamente senza fare uso di chat olografiche, realtà virtuali e Skype vari.

Forse, nonostante i divieti sanitari, qualche extraterrestre si scambierà un bacio o un abbraccio sotto il vischio, onorando una tradizione che da decenni è sepolta sotto regali, consumi e inutili ansie.

L'importante, per continuare a mantenere viva questa tradizione, è augurarsi Buon Natale.
Anche se forse il vero Natale è finito dimenticato.
 
posted by Stefano at 19:43 | 1 comments
martedì 27 novembre 2007
...ogni volta non riesco a non cominciare con dei puntini di sospensione.
A volte riesco a farli sparire e trovare un'apertura meno "sincopata", ma questa volta no, anche perché sono in sospensione. Come i puntini.

Breve rassegna mentale, lista della spesa, accartoccio tutto e faccio canestro nel cestino. Cercare di elencare le decine di cose che vorrei bloggare è inutile. Meglio farmi guidare dalla testa, dalla musica, dal momento.

In questo momento ho due voci in testa. La seconda riguarda la mia dipendenza dalla lettura. Dai libri.
Non riesco più a dormire se prima non ho letto qualcosa, due righe, di un romanzo.
E mi immagino un giorno, sempre qui o forse su qualche esotico pergolato, a scrivere su una tastiera il mio romanzo. La mia storia.
Niente di autobiografico, ma ho voglia di dare forma a una storia, dare vita a un protagonista. Un eroe, un mondo da salvare e tante avventure.
Una tra le tante cose che vorrei fare, ma che per colpa della rata mensile restano solo un "vorrei ma non posso".

In verità dal primo dicembre potrei pure, visto che ho vinto un mese di vacanza forzata per "metamorfosi contrattuale" e probabile rinnovo fino ad agosto 2009.
Un bel passo avanti, una carriera che piano piano prende forma. E finalmente un certo ordine razionale su quello che devo saper fare a lavoro, tra cui una serie di idee per i miei futuri format. Se incontrassi il me stesso di due o tre anni fa mi direi "che figo inventi programmi televisivi!".
Sarà vero?

A volte mi trovo ad osservare la realtà circostante con fare stupefatto, forse anche instupidito, chiedendomi se tutto (e dico tutto, compresa la luce del sole e il freddo pungente in motorino) sia frutto di una pura illusione.
Che il sole in realtà non è poi così luminoso, che il freddo non è poi così pungente.
Che la vita non è poi così difficile, o così facile. E che le cose buone non sono poi così buone. E viceversa.
Cheppalle.

Meglio cambiare argomento e parlare di propositi per il futuro, due principalmente.
Il secondo riguarda quello di fare un bel viaggetto. Il vantaggio di lavorare e vivere "con i tuoi" è quello di potersi mettere da parte una parte del proprio stipendio, da destinare -quando c'è tempo- a cose almeno frivole se non divertenti.
Mi sono trovato a sfogliare, quasi nevroticamente, decine di cataloghi on-line dei più quotati operatori turistici (e non tour operator, cruschiamoci un po'), assolutamente indeciso sulla meta da raggiungere.
Ho visto raid nel deserto tunisino su una jeep, dormendo in mega-tende.
Ho analizzato escursioni in Messico, alla ricerca delle civiltà perdute, su sperduti altopiani andini.
Ho sognato di passare un mese spartendomi San Francisco, il parco dello Yosemite, la Death Valley, Las Vegas e Los Angeles, in sella a una cromatissima Harley.
Luoghi che al solo pensiero mi fanno sognare e mi ricordano quanto mi stia stretto tutto ciò che mi circonda.

Il cerchio però si chiude con la prima cosa che ho pensato aprendo il blog. E la prima cosa che mi sono proposto di fare nel mio mese di vacanza forzata.

La conclusione la dovrà trarre il lettore più attento.

Perché che lavoro a fare, che guadagno a fare e soprattutto che ci vado a fare nello Yosemite Park, se poi ci vado "da solo"?
 
posted by Stefano at 01:14 | 1 comments
sabato 3 novembre 2007
A volte un cielo stellato, appena sferzato da sottili veli di nuvole, riesce a farci tenere il naso all'insù per attimi interminabili, privi quasi di preoccupazioni. Privi di difficoltà se non un certo torcicollo.
E la luna, che fa capolino tra le decine di palazzi che si rincorrono sopra una lunga fila di lampioni, ci guarda senza giudicare. Lei è lì, un cerchio luminoso che fa da dolce surrogato al violento e vitale sole.

Oggi mi chiedevo perché lo guardi un po' stupito, un po' imbambolato. E forse ho capito che è l'unica cosa a non cambiare con il passare del tempo.
In un mondo dove tutto sembra essere destinato al mutamento, dai capelli in testa al colore della vita quotidiana, il cielo stellato è l'unico che -anche se sferzato da sottili nuvole- mantiene una sua costanza. Una sua certezza.

Oggi mi chiedevo quanto può essere difficile, dopo anni, rincontrare certe persone. Sentire certe voci, certe battute. E riesumare i vecchi ricordi di quell'infinito giovane momento che separa il liceo dalla vita vera. Immagini, suoni, sapori e umori ti piombano addosso come una violenta sferzata di vento, quasi uno schiaffo in pieno viso. Mille volte peggio di un album di fotografie, diecimila peggio di baciare una tua ex.

Improvvisamente ti trovi in mutande con te stesso, i tuoi demoni e le tue paure escono con una violenza sbalorditiva. Demoni che inconsciamente cresci dentro di te per anestetizzare la dura realtà. Dura per modo di dire, dura per chi -come me- è cresciuto tra mille vizi e pochissime virtù.
Dura per quel giro di persone che ha sepolto i propri demoni sotto centinaia di dosi e scelte sbagliate, sotto migliaia d'illusioni strangolate sul nascere e dimenticate nello scorrere di fiumi d'alcol. E una dissolutezza autodistruttiva assurdamente ovvia.
Ovvia per chi non ha mai davvero compreso a fondo il valore, l'entità di quello che abbiamo in mano. Una vita piovuta dal cielo e semplicemente sprecata, gettata, priva di uno scopo reale.

Il mio non è un giudizio. È ancora una volta l'esplosione di un'amarezza un po' alcolica e un po' nostalgica per chi -abbandonato alle proprie debolezze- si lascia trascinare per anni, ritrovandosi dieci anni dopo completamente bruciato, con la sola certezza che sotto quel cielo stellato ha lasciato i migliori anni della propria vita.

Sapere che tu hai respirato la stessa aria, hai fumato le stesse sigarette, durante gli stessi magici momenti di pura amicizia non fa altro che risvegliare quei demoni. A cui devi soccombere, cedere arrendevolmente le armi.
Perché sono tue creature e, quando meno lo vorresti, tornano a chiederti il conto.

Ti chiedono il conto e il perché di tante scelte, di tanti sbagli. Di tante debolezze malcelate dietro false certezze, di tanti atteggiamenti utili soltanto ad isolarci dal mondo e da noi stessi.

Perché dopo dieci anni, guardando il cielo stellato, ti accorgi che le stelle e la luna le guardi da solo. Come hai sempre fatto.
E ti chiedi come hai fatto ad allevarti in seno il demone della solitudine, potente anestetico di sè stessi e del mondo che ci circonda.

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posted by Stefano at 01:38 | 0 comments
lunedì 15 ottobre 2007
Beh c'è poco da dire, un po' il lavoro, un po' lo scazzo, un po' boh... beh il blog è rimasto a far polvere per l'ennesima volta!
Non cerco giustificazioni, non ce ne sono, ma la mia "ex" Wonderwall si sarebbe offesa e non mi avrebbe parlato per un bel po'. A ragione dopotutto.

Rimane però la positività dell'aver sorvolato questo angolo di web. Il che significa due cose. Innanzitutto ho meno tempo libero da passare davanti al pc. E questo per un nerd della mia portata è già un evento.
E significa che non ho sentito la spinta, la voglia, di venire qui a sfogarmi, a gridare parole scritte di sconforto, di solitudine.
No, non sono guarito. E no, la solitudine è un abito che difficilmente tolgo di dosso, un po' come le sottovesti delle imbacuccate donnone medievali. Però questa solitudine ha cambiato un po' volto e, dopotutto, non mi disturba. O quantomeno non mi spaventa, come qualche anno fa.

Riflettevo alcuni giorni fa sulla vita che "noi giovani" facciamo, o quantomeno quella che facciamo noi "giovani lavoratori", stanchi inseguitori di una carriera che sacrifica tutti (e dico tutti) i valori che fino al giorno prima ci hanno cresciuto.
Una su tutte la libertà. A volte mi trincero dietro l'illusione della "libertà economica" (la stessa che ben presto mi farà uscire di casa per andare a vivere da solo) ma, diciamocelo, era meglio quando mamma e papà ci allungavano i soldi per il gelato, e ce lo andavamo a prendere senza altro a cui pensare che i gusti da metterci sopra.
Una vita che in breve si rivela abbastanza solitaria, o quantomeno costruita sulla dualità amico/collega. Il primo che ci conosce da una vita, di cui ci fidiamo, con cui si esce e ci si diverte. Il secondo come una "new entry", con i suoi giri, le sue "pare", i suoi problemi ma che -un po' come a scuola- è il tuo compagno di banco e di ansie lavorative.

In un batter d'occhio ti trovi a lottare con il cartellino e l'ora di punta per raggiungere in tempo un aperitivo, o rispondere in ritardo ad un semplice sms in cui (di martedì) ti invitano a ballare, inviando la solita deprimente risposta.
Contemporaneamente ti trovi inserito in un microcosmo autonomo, diverso, e molto più eterogeneo. Entri in ufficio e hai a che fare con madri e padri di famiglia. Con zitelle isteriche e gay spudorati. Con anziani lottatori e giovani sottomessi stagisti.
Tra tutte queste categorie, trovo insolito (quasi inquietante) scoprire come i miei coetanei, poco più che neoassunti come me, abbiano un comportamento "adeguato alla massa", distaccato e a volte molto meno accomodante di colleghi più anziani che -di norma- potrebbero imporre un maggiore rispetto.

Quelle persone, quei ragazzi della mia età, solo qualche tempo fa erano all'università, e non si facevano scrupoli a rivolgerti la parola, fare due battute. Ridere su un prof o una disavventura a lezione.
Oggi li vedi in ufficio, vestiti meglio. Forse più impostati. Forse più invecchiati.
In ascensore il saluto non si nega mai, ma una battuta, un sorriso. Quella voglia di socializzare, di scherzare insieme, dove finisce?
A scuola prima della campanella si faceva casino, e al cambio d'ora uguale. Perché in ufficio durante la pausa pranzo tocca mantenere questo contegno, questo necessario "aplomb" professionale? Per fare carriera? Per non sembrare da meno rispetto ai colleghi più anziani?

La risposta è sì. Mi guardo dentro e scopro che andare in ufficio ci toglie la libertà di fare casino con i nostri coetanei, di pensare a divertirci come un tempo, o quantomeno a fare due battute in ascensore come se fosse l'ingresso dell'aula magna. E quei colleghi di lavoro, se conosciuti in un altro contesto, in un altro momento, potrebbero essere amici di infinite scorribande. Di romantici aperitivi o languidi sguardi a lume di candela.

La verità è che a scuola si va un po' per imparare, un po' per fare casino.
In ufficio si va per lavorare, per produrre e per fare carriera.
Poi arriva una mattina in cui, tra mille impegni, alzi gli occhi per guardarti intorno.

E scopri che fino al tornello d'uscita sarai in compagnia, e amico, soltanto di te stesso.

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posted by Stefano at 00:16 | 0 comments
martedì 28 agosto 2007
Ecco,
oggi è una di quelle giornate in cui, nonostante tutto, sono rimasto stupito.
Al peggio non c'è mai limite e, se non s'era capito dal post precedente, il mio limite è molto, molto (molto molto molto) in basso. Rasoterra, anzi sottoterra.
Quando apro le puzzolenti, scomode, zozze pagine di un quotidiano, o maneggio l'unticcio, viscido e odioso telecomando mi trovo quasi inconsciamente a fruire di quelle che sono (dovrebbero essere) le fonti dell'"informazione". Anche perché in alternativa ci sono pacchi, culi e Walker Texas Ranger.

Ma oggi, appunto, sono stupito.

Perché la saga di Garlasco ha un nuovo capitolo da cui attingere perle di saggezza e di verità. Oggi i cattivi non sono quelli che hanno ammazzato quella povera disgraziata.
E non sono neanche le cuggggine o Corona che gli fa il filo.

Oggi i cattivi siamo "noi".

Noi chi? Semplice: chi preferisce Internet alla tv o i giornali e le riviste. Siamo postmoderni, usiamo irresponsabilmente internet.

Noi che ridiamo delle cuggggine (che c'hanno provato e ci sono riuscite!) accanto a Homer Simpson o alla Franzoni, noi che cinici esemplari di una società allo sfascio ci divertiamo con l'orrore, la tragedia.

Tralascio il capitolo offese e demando la mia posizione riguardante "l'homo giornalista" al post precedente.
Ma quello che a questo punto mi ha stupito è come il coro, sempre lo stesso, dell'agenda setting abbia aggiustato il tiro e, esaurito il ramo "gemelle cattive", continui a propinare rigurgiti di Garlasco sottoforma di un Internet irresponsabile, cattivo, in mano a irresponsabili regazzini che mettono mano ad una cultura irriverente, cinica, stronza e un po' bastarda.

L'ultima chicca riguarda l'Agorà di NGI, la casa di molti "postmoderni" che anziché seguire il branco di decerebrati ingurgitatori di merda massmediatica, preferiscono prendersi per il culo tra un post e l'altro, danzare tra un thread sull'ultima scheda video e le esilaranti panzane che gli occhi mediatici vogliono farci credere.
Onore, grande onore, a chi ha voluto dare forma al blog Agorà vs Gemelle K perché rappresenta un'idea, un punto di vista, che tutti noi "postmoderni" condividiamo nei principi (se non anche nella forma :asd: ).

Perché il bastardo sarcasmo che pervade una tale iniziativa dovrebbe essere preso come monito da chi continua a manipolare la verità per alzare il fatturato pubblicitario a fine mese.
Perché (come scrivevo qualche giorno fa) trovare nelle Gemelle K e un loro stupido fotomontaggio il pretesto per sollevare un "caso nazionale", è il tipico esempio di come questi "giornalisti" sappiano gonfiare il profilattico che vogliono metterci in testa a piacimento.
Seguiti da milioni di pecore italiote che si indignano ipocritamente per un fotomontaggio (ci sarà un'interrogazione parlamentare sui fotomontaggi?) ma poi -diciamolo sottovoce- se ne sbattono le palle.

Perché, ora mi chiedo razionalmente, a chi cazzo può mai fregare che due stronze qualsiasi hanno fotomontato le loro facciotte vicino alla cugina morta? E a chi cazzo può fregare che quelle due povere stronze hanno fatto i provini per Striscia?
E di seguito, a chi frega qualcosa se altri quattro stronzi (e bastardi :asd: ) hanno preso le due di cui sopra e gli hanno appiccicato accanto Homer Simpson?

Nessuno. Lo sappiamo tutti che non frega un cazzo a nessuno di tutto il teatrino messo in piedi.

Ma sono stupito ugualmente degli ultimi sviluppi.
Positivamente per Agorà perché significa che loro (io lurko soltanto da quelle parti) hanno davvero imboccato la strada giusta.

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posted by Stefano at 16:08 | 0 comments
giovedì 23 agosto 2007
...ora basta.
Ogni volta che apro Google News devo trattenere i conati di vomito nel constatare, a pochi click di distanza, la spudorata faziosità dei giornalisti che -fedeli alle altrettanto faziose testate- dipingono le notizie secondo i comodi del potere che li tiene in piedi.
Ogni volta che c'è qualche evento mediatico che "sembra destare" interesse, devo trattenere i conati di vomito nel vedere il costante sciacallaggio dei miei pseudo-colleghi (non chiamatemi giornalista se il mestiere consiste in questo) giudicando senza sapere, raccontando senza informarsi per creare tanta "fiction", tanto "infotainment", una merda di "reality" intorno alle tragedie che però sono vere, come veri sono i sentimenti di chi ne rimane vittima.
Sono "tre più uno" gli episodi che fanno da emblema a questa merda di mercato mediatico odierno.
Il primo, piuttosto antico, dello tsunami dell'anno scorso. Giorni e giorni a martellare su due o tre eventi chiave, infarcendo il resto con rotture di coglioni a viaggiatori stravolti, con testimonianze assolutamente inutili ai fini della notiza stessa, e fiumi di inutili parole per spremere fino all'ultimo istante quel poco di rassegnata attenzione che la gente, ormai stufa del mare di merda che questi "giornalisti" continuano a rimpinguare, riesce a dare quando accade qualcosa di così insolito.
Il secondo, e qui non credo ci siano dubbi, la morte del Papa. Neanche il mio Canale è sfuggito alla voglia di seguire il branco, buttarsi nel mucchio, e proporre qualche ora di video dedicati al Papa quando era in vita (un canale 100% dedicato AI MOTORI!!!). Quel pover'uomo è morto di vecchiaia in un mondo che gli ha succhiato via inascoltati viaggi per cercare la pace. Quando è morto sembrava che lo stesso mondo sarebbe finito senza la sua celestiale guida (quando nessuno, e dico NESSUNO se l'è mai inculato quando era in vita). Il potere mediatico alla sua massima potenza: migliaia di persone si sono riversate in zona Vaticano per vedere la salma di un pover'uomo morto in nome di una causa superiore, un corpo verdognolo esposto per la gioia di giornalisti e prostituti della notizia che così hanno rimpinguato un po' le casse grazie al bilancio Auditel in positivo.
Persone che in Chiesa ai suoi funerali hanno pianto lacrime di coccodrillo e oggi già se ne sono dimenticati, perché "morto un Papa se ne fa un altro".

Oggi la novità. Le cuggggine di quella povera disgraziata di Chiara Poggi. I giornalisti se la sono cantata e ballata da soli, come al solito: PRIMA le hanno adocchiate, le hanno "circuite", gli hanno dato quei 15 minuti di celebrità con ore e ore di girato, migliaia di scatti e decine di interviste. Le cugggggine sono parenti della vittima nella stessa misura degli altri elementi della famiglia, INUTILI ai fini della notizia, EQUIVALENTI a qualsiasi altro membro.
Poco gliene frega a questi cari "giornalisti", tutto fa brodo, soprattutto quando poi si fanno soldi e carriera.
E quindi interviste, indagini, domande scomode ma solo a loro che -foto alla mano- sono le più fighe, le più televisive, le più controverse.

Gli stessi elementi, gli stessi "giornalisti" hanno POI gridato allo scandalo, hanno tacciato le due sorelle di "velinismo", di prostituzione mediatica, di sciacallaggio.

Sciacallaggio di cosa? Velinismo grazie a chi? CHI gli ha dato lo spazio, CHI ha sciacallato una famiglia cercando inutili dettagli, alla morbosa ricerca di uno scoop che tra qualche settimana sarà soltanto l'ennesima goccia nel mare di merda mediatico? Chi cazzo sei tu, giornalista generico da quattro soldi, per ravanare nei ricordi di una ragazza morta, nelle personalità di adolescenti sconvolte per una perdita, per trarne giudizi COMMERCIALMENTE APPETIBILI, che distorcano la verità purché diventi interessante, pubblicabile e favorevole ai poteri di cui sopra?

Se i principi fossero stati "sani", nessuno avrebbe dato tutto questo peso a due ragazze che si sono "acchittate" davanti all'occhio indiscreto che la dittatura mediatica gli ha voluto mettere addosso. Il problema non sono LORO che si sono acchittate, sono I GIORNALISTI che per qualche spiccio in più a fine mese sono pronti a SPUTTANARE una famiglia e rendere invivibile un momento di trageida, di scoramento, di tristezza. Senza contare il ricordo che i familiari avranno di questo periodo.

Non frega a nessuno se quelle due deficenti hanno mentito e hanno fatto fare un fotomontaggio, perché l'unico scopo di una notizia simile è quello di provocare lo SDEGNO di persone finte benpensanti che, richiusa la rivista o spento il televisore, se ne sbattono i coglioni di una fotografia ritoccata, di occhiali di gucci e di una povera crista che è morta con il cranio fracassato.

Perché la gente, per sopravvivere alle cazzate sulle tragedie che raccontate, si veste di cinismo e distacco emotivo.
Lo stesso cinismo criminale che utilizzate per spacciare una marchetta mediatica in racconto della verità.


Cambio il nome della mia professione, da oggi nel mio profilo non scriverò più "giornalista" ma "impiegato".

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posted by Stefano at 12:46 | 1 comments
domenica 19 agosto 2007
Ammetto che erano un paio di giorni, giusti giusti quelli del doporientro, che "occhieggiavo" questo spazio pneumatico, ma abituato a maneggiare il mio "mood" scrittorio ho deciso di rinviare.
Un po' per raffreddare l'impatto (negativo, ovvio) del rientro a casa, un po' perché ho già "sfogato" me stesso con una lunga mail scritta ad una carissima amica di vecchia data (più grande di me di qualche anno) a cui sono molto legato anche se non ci frequentiamo quasi mai.

Il mood, improvviso, mi è piombato addosso. È bastato aprire uno dei miei incasinatissimi "cassettini" dove ripongo da anni fogli, foglietti e cianfrusame vario proveniente dalla scrivania. Ci tengo il passaporto (senza neanche un timbro, un emblema della mia personalità), i vecchi biglietti da visita. Le lettere e le foto delle mie ex (accuratamente divise, non sia mai!).
Ho trovato perfino un preservativo perfettamente sovrapposto ad un rosario da dito (di quelli che si usano a Scout), praticamente una cosa sola visto che più o meno hanno lo stesso diametro.. Meriterei una scomunica, ma è colpa del Caos nel Cassetto, non mia!
In mezzo a tutto ho trovato un foglietto a quadretti, di quelli che staccavamo al liceo dal centro del quadernino piccolo, piegato in quattro. Su un lato alcune formule di analisi scarabocchiate, qualche bozzetto a matita, perfino una serie di cerchi concentrici imperniati sul classico buco del compasso. Strumento ormai dimenticato dalle mie mani, insieme al portamine, il goniometro, il curvilineo e i fogli Fabriano F4.
..Dall'altro lato la mia vecchissima rubrica del cellulare, copiata con un ordine a me oggi sconosciuto, nome e numero uno sotto l'altro, due colonne, spaziati da una fila di quadretti.
Ogni riga un flash, il classico "tuffo nel passato", con luci voci e situazioni vecchie di circa dieci anni. Nomi che ancora oggi sento, ma con numeri diversi. Persone che invece ho completamente perso di vista. Li richiamerei ma oggi è tutto cambiato, diverso: sono decine di numeri di casa. E chiamarli sarebbe fuoriluogo, imbarazzante. Lo facevo da piccolo, oggi si usa il cellulare.
C'è il numero di quella lì con cui uscivo ma non me l'ha mai data, ValentinaS. Una volta, preso dallo sconforto, la lasciai a piedi al Joy (locale oggi sostituito da un multisala, il Lux credo) perché aveva fatto la stronza con un altro. Fece tardi per tornare a casa (coi mezzi era lunghetta!) e la misero in punizione per una settimana. Mi feci scusare con 18 rose rosa e una rossa (in mezzo), tanti erano gli anni che avevo e che, come le scrissi, non valevano nulla a confronto di un solo minuto con lei. La rosa rossa era il diciannovesimo anno, quello in cui avevo (quanto ero coglione :D) conosciuto l'amore grazie a lei!!!
C'è anche quella che invece pareva interessata, c'eravamo baciati ma poi abbiamo litigato e non ci sono più uscito, FrancescaP. L'ho salutata due Natali fa in parrocchia, non so neanche come mi ci ero trascinato. Bellissima come allora, ma una voce più profonda e ancora più affascinante. Avrei perso la testa per lei allora, lo rifarei ancora oggi..
Con quasi tutti abbreviavo il cognome con l'iniziale, tanto sapevo chi erano!
C'è il numero di uno dei miei migliori amici di sempre, "Pierpa", ma quello di casa qui vicino, prima che andasse a vivere fuori Roma e si sposasse con un'altro nome lì sulla rubrica, "Ari", anche lei con il numero di casa che, rileggendolo, scopro sapere ancora a memoria.
C'è anche qualche nomignolo, "Voca" che abbreviava Veronica, e MartaI, la sua amica del cuore. Ancora ricordo quando arrivarono da un'altro liceo a metà anno e, incontrandole per il corridoio, feci anche io gli onori di casa. Occhiate un po' imbarazzate ma sbarazzine, due ragazze bellissime ai miei occhi cuccioli e la "tacca" di essere stato tra i primi (quantomeno) a camminarci accanto durante la ricreazione.
Non sono andato molto oltre, già promettevo bene!!!
C'è il numero di "un certo" SimoneB, ma prima che diventassimo veri amici. Andavamo a scuola insieme, ci frequentavamo "nel branco" ma se avevo il suo numero era solo quando facevamo i mega passa-parola per feste liceali a casa di qualcuno.
Tutti i numeri appartengono a una cerchia geografica ristrettissima, il mio quartiere, "la Balduina di Noantri", fatta di Pellicano e Coiba, gelati agghindatissimi e leccatissime partite di biliardo. Tutti rigorosamente con motorini truccati e senza casco, "scappando dalle guardie" quando c'erano i posti di blocco, con il faretto dietro verniciato di nero e un adesivo "crazy duck" sullo scudo davanti.
In quel periodo il cellulare non ci serviva perché eravamo tutti amici, e tutti ci vedevamo nello stesso posto. Eravamo una comitiva, un branco, a qualsiasi ora bastava mettersi le scarpe, prendere il motorino in garage e andare lì. Ogni pomeriggio c'era qualcosa da fare, qualcuno da andare a prendere o da portare, c'erano feste, giri di shopping, "riunioni al Gilda o all'Alien".
Erano tempi in cui Roma in Agosto era tabù (si stava rigorosamente al Circeo, a Ponza o all'Argentario) ma a Settembre, tutti abbronzati e fichissimi, il Pellicano diventava la passerella di coppie vecchie e nuove. Di amicizie nate e di amicizie morte, specialmente tra quelle ragazze che magari in vacanza si erano portate via qualche fiamma a vicenda. Una sitcom dal vivo insomma, vissuta a volte da comparsa, a volte da co-protagonista.
La scena la lasciavo alle prime guide, le "teste di serie", quelli che anche quando non c'erano erano sulla bocca di tutti per le loro eroiche gesta, dentro e fuori le mura di scuola. Anch'essa a cinque minuti di motorino.

Guardarmi oggi in uno specchio, così simile ad allora, con qualche capello in meno e uno sguardo più stanco, forse meno limpido, non può non far rimpiangere quei tempi.
Dedicare una lacrima forse è troppo, si tratta pur sempre di un cassetto. Ma è grandissima la voglia di chiudere gli occhi, strizzarli a pugni chiusi come da bambini, e finire risucchiati vorticosamente in questa piccola macchina del tempo. Per rivivere con la consapevolezza di oggi ogni singolo istante, cibarsene avidamente e fare quella scorta di felicità necessaria a tirare avanti.
Basterebbe giusto un'ora, ma subito.
Perché la spia della riserva è accesa già da un po' e non vorrei restare a piedi.

Soundtrack: Blu, Tiromancino.

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posted by Stefano at 23:36 | 0 comments