sabato 3 novembre 2007
A volte un cielo stellato, appena sferzato da sottili veli di nuvole, riesce a farci tenere il naso all'insù per attimi interminabili, privi quasi di preoccupazioni. Privi di difficoltà se non un certo torcicollo.
E la luna, che fa capolino tra le decine di palazzi che si rincorrono sopra una lunga fila di lampioni, ci guarda senza giudicare. Lei è lì, un cerchio luminoso che fa da dolce surrogato al violento e vitale sole.
Oggi mi chiedevo perché lo guardi un po' stupito, un po' imbambolato. E forse ho capito che è l'unica cosa a non cambiare con il passare del tempo.
In un mondo dove tutto sembra essere destinato al mutamento, dai capelli in testa al colore della vita quotidiana, il cielo stellato è l'unico che -anche se sferzato da sottili nuvole- mantiene una sua costanza. Una sua certezza.
Oggi mi chiedevo quanto può essere difficile, dopo anni, rincontrare certe persone. Sentire certe voci, certe battute. E riesumare i vecchi ricordi di quell'infinito giovane momento che separa il liceo dalla vita vera. Immagini, suoni, sapori e umori ti piombano addosso come una violenta sferzata di vento, quasi uno schiaffo in pieno viso. Mille volte peggio di un album di fotografie, diecimila peggio di baciare una tua ex.
Improvvisamente ti trovi in mutande con te stesso, i tuoi demoni e le tue paure escono con una violenza sbalorditiva. Demoni che inconsciamente cresci dentro di te per anestetizzare la dura realtà. Dura per modo di dire, dura per chi -come me- è cresciuto tra mille vizi e pochissime virtù.
Dura per quel giro di persone che ha sepolto i propri demoni sotto centinaia di dosi e scelte sbagliate, sotto migliaia d'illusioni strangolate sul nascere e dimenticate nello scorrere di fiumi d'alcol. E una dissolutezza autodistruttiva assurdamente ovvia.
Ovvia per chi non ha mai davvero compreso a fondo il valore, l'entità di quello che abbiamo in mano. Una vita piovuta dal cielo e semplicemente sprecata, gettata, priva di uno scopo reale.
Il mio non è un giudizio. È ancora una volta l'esplosione di un'amarezza un po' alcolica e un po' nostalgica per chi -abbandonato alle proprie debolezze- si lascia trascinare per anni, ritrovandosi dieci anni dopo completamente bruciato, con la sola certezza che sotto quel cielo stellato ha lasciato i migliori anni della propria vita.
Sapere che tu hai respirato la stessa aria, hai fumato le stesse sigarette, durante gli stessi magici momenti di pura amicizia non fa altro che risvegliare quei demoni. A cui devi soccombere, cedere arrendevolmente le armi.
Perché sono tue creature e, quando meno lo vorresti, tornano a chiederti il conto.
Ti chiedono il conto e il perché di tante scelte, di tanti sbagli. Di tante debolezze malcelate dietro false certezze, di tanti atteggiamenti utili soltanto ad isolarci dal mondo e da noi stessi.
Perché dopo dieci anni, guardando il cielo stellato, ti accorgi che le stelle e la luna le guardi da solo. Come hai sempre fatto.
E ti chiedi come hai fatto ad allevarti in seno il demone della solitudine, potente anestetico di sè stessi e del mondo che ci circonda.
E la luna, che fa capolino tra le decine di palazzi che si rincorrono sopra una lunga fila di lampioni, ci guarda senza giudicare. Lei è lì, un cerchio luminoso che fa da dolce surrogato al violento e vitale sole.
Oggi mi chiedevo perché lo guardi un po' stupito, un po' imbambolato. E forse ho capito che è l'unica cosa a non cambiare con il passare del tempo.
In un mondo dove tutto sembra essere destinato al mutamento, dai capelli in testa al colore della vita quotidiana, il cielo stellato è l'unico che -anche se sferzato da sottili nuvole- mantiene una sua costanza. Una sua certezza.
Oggi mi chiedevo quanto può essere difficile, dopo anni, rincontrare certe persone. Sentire certe voci, certe battute. E riesumare i vecchi ricordi di quell'infinito giovane momento che separa il liceo dalla vita vera. Immagini, suoni, sapori e umori ti piombano addosso come una violenta sferzata di vento, quasi uno schiaffo in pieno viso. Mille volte peggio di un album di fotografie, diecimila peggio di baciare una tua ex.
Improvvisamente ti trovi in mutande con te stesso, i tuoi demoni e le tue paure escono con una violenza sbalorditiva. Demoni che inconsciamente cresci dentro di te per anestetizzare la dura realtà. Dura per modo di dire, dura per chi -come me- è cresciuto tra mille vizi e pochissime virtù.
Dura per quel giro di persone che ha sepolto i propri demoni sotto centinaia di dosi e scelte sbagliate, sotto migliaia d'illusioni strangolate sul nascere e dimenticate nello scorrere di fiumi d'alcol. E una dissolutezza autodistruttiva assurdamente ovvia.
Ovvia per chi non ha mai davvero compreso a fondo il valore, l'entità di quello che abbiamo in mano. Una vita piovuta dal cielo e semplicemente sprecata, gettata, priva di uno scopo reale.
Il mio non è un giudizio. È ancora una volta l'esplosione di un'amarezza un po' alcolica e un po' nostalgica per chi -abbandonato alle proprie debolezze- si lascia trascinare per anni, ritrovandosi dieci anni dopo completamente bruciato, con la sola certezza che sotto quel cielo stellato ha lasciato i migliori anni della propria vita.
Sapere che tu hai respirato la stessa aria, hai fumato le stesse sigarette, durante gli stessi magici momenti di pura amicizia non fa altro che risvegliare quei demoni. A cui devi soccombere, cedere arrendevolmente le armi.
Perché sono tue creature e, quando meno lo vorresti, tornano a chiederti il conto.
Ti chiedono il conto e il perché di tante scelte, di tanti sbagli. Di tante debolezze malcelate dietro false certezze, di tanti atteggiamenti utili soltanto ad isolarci dal mondo e da noi stessi.
Perché dopo dieci anni, guardando il cielo stellato, ti accorgi che le stelle e la luna le guardi da solo. Come hai sempre fatto.
E ti chiedi come hai fatto ad allevarti in seno il demone della solitudine, potente anestetico di sè stessi e del mondo che ci circonda.