martedì 27 novembre 2007
...ogni volta non riesco a non cominciare con dei puntini di sospensione.
A volte riesco a farli sparire e trovare un'apertura meno "sincopata", ma questa volta no, anche perché sono in sospensione. Come i puntini.

Breve rassegna mentale, lista della spesa, accartoccio tutto e faccio canestro nel cestino. Cercare di elencare le decine di cose che vorrei bloggare è inutile. Meglio farmi guidare dalla testa, dalla musica, dal momento.

In questo momento ho due voci in testa. La seconda riguarda la mia dipendenza dalla lettura. Dai libri.
Non riesco più a dormire se prima non ho letto qualcosa, due righe, di un romanzo.
E mi immagino un giorno, sempre qui o forse su qualche esotico pergolato, a scrivere su una tastiera il mio romanzo. La mia storia.
Niente di autobiografico, ma ho voglia di dare forma a una storia, dare vita a un protagonista. Un eroe, un mondo da salvare e tante avventure.
Una tra le tante cose che vorrei fare, ma che per colpa della rata mensile restano solo un "vorrei ma non posso".

In verità dal primo dicembre potrei pure, visto che ho vinto un mese di vacanza forzata per "metamorfosi contrattuale" e probabile rinnovo fino ad agosto 2009.
Un bel passo avanti, una carriera che piano piano prende forma. E finalmente un certo ordine razionale su quello che devo saper fare a lavoro, tra cui una serie di idee per i miei futuri format. Se incontrassi il me stesso di due o tre anni fa mi direi "che figo inventi programmi televisivi!".
Sarà vero?

A volte mi trovo ad osservare la realtà circostante con fare stupefatto, forse anche instupidito, chiedendomi se tutto (e dico tutto, compresa la luce del sole e il freddo pungente in motorino) sia frutto di una pura illusione.
Che il sole in realtà non è poi così luminoso, che il freddo non è poi così pungente.
Che la vita non è poi così difficile, o così facile. E che le cose buone non sono poi così buone. E viceversa.
Cheppalle.

Meglio cambiare argomento e parlare di propositi per il futuro, due principalmente.
Il secondo riguarda quello di fare un bel viaggetto. Il vantaggio di lavorare e vivere "con i tuoi" è quello di potersi mettere da parte una parte del proprio stipendio, da destinare -quando c'è tempo- a cose almeno frivole se non divertenti.
Mi sono trovato a sfogliare, quasi nevroticamente, decine di cataloghi on-line dei più quotati operatori turistici (e non tour operator, cruschiamoci un po'), assolutamente indeciso sulla meta da raggiungere.
Ho visto raid nel deserto tunisino su una jeep, dormendo in mega-tende.
Ho analizzato escursioni in Messico, alla ricerca delle civiltà perdute, su sperduti altopiani andini.
Ho sognato di passare un mese spartendomi San Francisco, il parco dello Yosemite, la Death Valley, Las Vegas e Los Angeles, in sella a una cromatissima Harley.
Luoghi che al solo pensiero mi fanno sognare e mi ricordano quanto mi stia stretto tutto ciò che mi circonda.

Il cerchio però si chiude con la prima cosa che ho pensato aprendo il blog. E la prima cosa che mi sono proposto di fare nel mio mese di vacanza forzata.

La conclusione la dovrà trarre il lettore più attento.

Perché che lavoro a fare, che guadagno a fare e soprattutto che ci vado a fare nello Yosemite Park, se poi ci vado "da solo"?
 
posted by Stefano at 01:14 | 1 comments
sabato 3 novembre 2007
A volte un cielo stellato, appena sferzato da sottili veli di nuvole, riesce a farci tenere il naso all'insù per attimi interminabili, privi quasi di preoccupazioni. Privi di difficoltà se non un certo torcicollo.
E la luna, che fa capolino tra le decine di palazzi che si rincorrono sopra una lunga fila di lampioni, ci guarda senza giudicare. Lei è lì, un cerchio luminoso che fa da dolce surrogato al violento e vitale sole.

Oggi mi chiedevo perché lo guardi un po' stupito, un po' imbambolato. E forse ho capito che è l'unica cosa a non cambiare con il passare del tempo.
In un mondo dove tutto sembra essere destinato al mutamento, dai capelli in testa al colore della vita quotidiana, il cielo stellato è l'unico che -anche se sferzato da sottili nuvole- mantiene una sua costanza. Una sua certezza.

Oggi mi chiedevo quanto può essere difficile, dopo anni, rincontrare certe persone. Sentire certe voci, certe battute. E riesumare i vecchi ricordi di quell'infinito giovane momento che separa il liceo dalla vita vera. Immagini, suoni, sapori e umori ti piombano addosso come una violenta sferzata di vento, quasi uno schiaffo in pieno viso. Mille volte peggio di un album di fotografie, diecimila peggio di baciare una tua ex.

Improvvisamente ti trovi in mutande con te stesso, i tuoi demoni e le tue paure escono con una violenza sbalorditiva. Demoni che inconsciamente cresci dentro di te per anestetizzare la dura realtà. Dura per modo di dire, dura per chi -come me- è cresciuto tra mille vizi e pochissime virtù.
Dura per quel giro di persone che ha sepolto i propri demoni sotto centinaia di dosi e scelte sbagliate, sotto migliaia d'illusioni strangolate sul nascere e dimenticate nello scorrere di fiumi d'alcol. E una dissolutezza autodistruttiva assurdamente ovvia.
Ovvia per chi non ha mai davvero compreso a fondo il valore, l'entità di quello che abbiamo in mano. Una vita piovuta dal cielo e semplicemente sprecata, gettata, priva di uno scopo reale.

Il mio non è un giudizio. È ancora una volta l'esplosione di un'amarezza un po' alcolica e un po' nostalgica per chi -abbandonato alle proprie debolezze- si lascia trascinare per anni, ritrovandosi dieci anni dopo completamente bruciato, con la sola certezza che sotto quel cielo stellato ha lasciato i migliori anni della propria vita.

Sapere che tu hai respirato la stessa aria, hai fumato le stesse sigarette, durante gli stessi magici momenti di pura amicizia non fa altro che risvegliare quei demoni. A cui devi soccombere, cedere arrendevolmente le armi.
Perché sono tue creature e, quando meno lo vorresti, tornano a chiederti il conto.

Ti chiedono il conto e il perché di tante scelte, di tanti sbagli. Di tante debolezze malcelate dietro false certezze, di tanti atteggiamenti utili soltanto ad isolarci dal mondo e da noi stessi.

Perché dopo dieci anni, guardando il cielo stellato, ti accorgi che le stelle e la luna le guardi da solo. Come hai sempre fatto.
E ti chiedi come hai fatto ad allevarti in seno il demone della solitudine, potente anestetico di sè stessi e del mondo che ci circonda.

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posted by Stefano at 01:38 | 0 comments